Francesco
Ferro è un contadino di Magli, frazione del comune di Trenta. Da qualche anno,
insieme ai fratelli Filippo e Raffaele Antonio, ha preso in fitto un vasto
appezzamento di terreno a San Marco Argentano. I tre fratelli sgobbano come
muli ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti perché hanno ormai raggiunto
una condizione di relativa agiatezza, tanto da cominciare ad acquistare quella
terra sulla quale sudano.
Il 22 aprile
1888, Francesco incontra, verso le sei e mezza del pomeriggio, un suo debitore,
il mulattiere Giuseppe Feudo, e gli chiede il pagamento di due tomoli di grano,
vendutigli l’anno prima.
- Tra poco fa
un anno, adesso mi devi pagare
- Non posso,
sono senza lavoro e ho solo sei lire – gli risponde Feudo mentre i due, attraversata
la piazza, si dirigono verso Via Giudecca.
- Senti, a me
non me ne frega niente se lavori o non lavori, mi devi dare i soldi e basta!
- Quando li
avrò, te li darò. Adesso lasciami fottere!
Francesco
Ferro si trattiene a stento, poi vedendo sulla porta di casa Carmela
Sgrignieri, moglie del messo comunale, le si rivolge dicendo
- Carmè, dì a
tuo marito di procedere con la citazione di questo ladro fottuto!
- A me dici
ladro? Ma vai a fare in culo, merda, che i soldi tuoi me li bevo invece di
darteli!
- Vaffanculo
tu e tutta la razza tua, ladro! – gli urla contro, poi si gira e se ne va
imbestialito.
Per Giuseppe,
che qualche bicchiere di rosso l’ha bevuto, questa è un’offesa che non può
sopportare. Mette mano al coltello, insegue Ferro e gli vibra una coltellata
alle spalle. Francesco cade e sta per essere finito quando, per sua fortuna, Feudo
viene bloccato da Giuseppe Svevo e sua moglie che lo disarmano e lo trascinano
in casa loro.
Francesco,
sanguinante, se ne torna a casa e manda a chiamare il medico e i Carabinieri.
Gli è andata di lusso, dice il dottor Raffaele Manfredi. Il colpo è stato
vibrato in modo obliquo e la lama è penetrata per soli due centimetri nel
muscolo. I Carabinieri, da parte loro, raccolta la denuncia e, constatata la
ferita, vanno ad arrestare Giuseppe Feudo e lo chiudono in camera di sicurezza.
Nel
frattempo, rincasano Filippo e Raffaele Antonio i quali si fanno raccontare i
fatti e, senza perdere tempo, si precipitano a casa di Feudo per fargli la
pelle e vendicarsi dell’onta subita. Tempestano la porta di calci e pugni per
buttarla giù. Poi la voce della moglie di Feudo li gela
- Andatevene,
i Carabinieri lo hanno arrestato per colpa di vostro fratello!
- Non è vero!
Aprite! – proprio in quel momento arriva sul posto un’amica comune, Mariantonia
Guaglianone, la quale si intromette per convincerli che Giuseppe è stato
davvero arrestato e ci riesce. I due Ferro se ne vanno
- Noi non
abbiamo mai ricevuto uno schiaffo e ora che ci hanno menati dobbiamo stare zitti? – dice Raffaele Antonio mentre si
allontana.
La notte dopo
l’arresto di Giuseppe dovrebbe essere servita a calmare gli animi esagitati dei
fratelli Ferro, ma non è così. A turno piantonano la casa del nemico in attesa
che venga rilasciato e a chi gli si avvicina per cercare di portare la pace
rispondono “non ce lo possiamo tenere
questo corno!”.
Giuseppe
Feudo viene rimesso in libertà provvisoria la mattina del 25 aprile e subito
viene avvisato che i fratelli Ferro vogliono fargli la pelle, così,
accompagnato da amici e parenti, si rintana in casa. E fa bene. Infatti i Ferro
lo seguono per approfittare di una eventuale occasione per aggredirlo, ma gli
va male.
- Filippo,
che fai con quel bastone? – gli chiede un amico
- Ci debbo battere i cani arrabbiati –
risponde
- Là ce n’è
uno – gli fa quello, indicando un cane che se ne va per i fatti suoi
- Quello non
morde – tronca il discorso, lasciando l’amico di stucco.
In paese
tutti conoscono le intenzioni dei fratelli Ferro, però a nessuno viene in mente
di avvisare i Carabinieri. Le ore passano cariche di tensione fin quasi al
tramonto, quando Giuseppe, convinto che i Ferro se ne siano andati, esce sulla
porta di casa. Si guarda intorno e non vede nessuno. Tira un sospiro di
sollievo e si rilassa. La moglie lo chiama dall’interno e lui si gira per risponderle.
Cominciano a parlare. Intanto il vicinato si anima e molta gente è in strada.
Qualcuno si avvicina a Giuseppe e gli chiede della brutta avventura e lui,
interrompendo la chiacchierata con la moglie, prende in braccio uno dei suoi
bambini ed esce in strada per spiegare i fatti agli amici.
Filippo e
Raffaele Antonio Ferro fino ad allora hanno gironzolato, separati, nei dintorni
per sorprendere Giuseppe.
È quasi il
tramonto e Raffaele Antonio sta parlando con un certo Domenico Scarpelli che lo
sta rassicurando circa dei soldi che gli deve. Mentre camminano verso l’arco
dei signori La Regina ,
dal quale si accede al vicinato dove abita Feudo, vede, proprio sotto l’arco,
suo fratello Filippo che gli fa cenno di raggiungerlo. Non bada nemmeno che
Scarpelli gli sta dando appuntamento per l’indomani mattina con lo scopo di
saldare il proprio debito, lo saluta frettolosamente e segue Filippo.
I due si
appostano nelle vicinanze della casa di Giuseppe e lo vedono che parla
tranquillamente con gli amici, dando
loro le spalle; si danno un cenno di intesa e si avvicinano in silenzio.
Filippo ha in mano un grosso bastone, il fratello un coltello.
Giuseppe
parla e scherza e nessuno fa caso ai due che sono ormai a un passo da lui; nessuno
ha il tempo di accorgersi che Filippo lo colpisce con una tremenda bastonata
alla testa.
Giuseppe cade
a terra svenuto col bambino ancora in braccio e Raffaele Antonio gli è sopra
accoltellandolo per due volte al petto. La lama penetra in profondità e gli
trancia l’aorta. La morte è istantanea tra lo stupore generale. Tutti i
presenti sono immobili e tali restano anche quando i due Ferro si danno alla
fuga.
- Largo!
Largo! – urlano a quelle che sembrano statue di marmo.
All’inizio
nemmeno la moglie di Giuseppe capisce ciò che sta accadendo, poi sente quelle voci
ed esce sulla porta di casa; vede Giuseppe steso per terra in un lago di sangue,
il bambino che piange, coperto dagli schizzi di sangue del padre, e si mette a
urlare disperatamente per chiamare al soccorso. Solo allora i presenti sembrano
svegliarsi da un lungo sonno durato pochi secondi.
Qualcuno
corre via e in pochissimo tempo arrivano i Carabinieri con un medico che può solo
constatare la morte di Feudo e immediatamente cominciano le ricerche degli
assassini.
Ma di Filippo
e Raffaele Antonio Ferro non c’è traccia. Come è possibile che due persone
possano scomparire nel nulla in meno di mezz’ora? Un vero e proprio mistero.
Vengono
perquisite quasi tutte le case del paese, le cascine, le capanne e ogni altro
luogo di campagna dove sarebbe possibile trovare rifugio, ma senza risultato.
I Carabinieri
estendono le ricerche nei comuni vicini di Roggiano Gravina, Mongrassano e
Fagnano Castello e poi, seguendo le indicazioni pervenute dal padre della
vittima, anche a Cetraro e a Tarsia ma i
due non si trovano.
Non sono
nemmeno a Magli o negli altri Casali di Cosenza dove hanno ancora dei parenti
stretti. Niente di niente.
Qualcuno ha
pensato di sorvegliare le stazioni ferroviarie nei dintorni di San Marco e i
porti di Napoli e di Genova? No.
Intanto
l’istruttoria va avanti e Filippo e Raffaele Antonio Ferro vengono rinviati a
giudizio per omicidio premeditato e processati in contumacia.
Il 7 dicembre
1888, la Corte
d’Assise di Cosenza emette la sentenza:
Colpevoli di omicidio volontario,
qualificato assassinio per premeditazione, con attenuanti, in persona di
Giuseppe Feudo. Reato avvenuto il 25 aprile 1888 e li condanna alla pena dei
lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti politici, alla interdizione
patrimoniale, alle spese del procedimento in favore dell’Erario dello Stato, ed
alla rivalse dei danni a pro della parte danneggiata.
Dopo qualche
mese, a San Marco, persone bene informate giurano che i due sono ormai al
sicuro e ben al riparo della giustizia. Dove? Lontano, molto lontano, oltre il
mare e oltre l’oceano, dall’altra parte del mondo, in un posto chiamato
Brasile.[1]
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