venerdì 14 luglio 2017

I PERICOLOSI MALAVITOSI DI MAIERA'

Dalla fine della prima Guerra Mondiale la vita delle poche persone dabbene del paese è resa precaria dal predominio che la teppa è venuta acquistando, tanto da commettere sfrontatamente i peggiori reati. La totalità della cittadinanza di Maierà, sia per paura, sia per desiderio di quieto vivere ha lasciato correre trincerandosi dietro il solito “Purchè non toccano me, facciano quel che vogliono”. Solo pochi cittadini conquisi da un alto senso di umanità e di giustizia, malvedendo le vessazioni, i delitti consumati dalla teppa, hanno cercato e cercano di porvi freno non proteggendo questa teppa, non solo, ma sollecitando l’istituzione della Caserma dei RR.CC. e dal momento che l’impianto della caserma si può ritenere un fatto compiuto, s’è rinfocolato l’odio di questa gente e del Biancamano Battista in ispecie contro me.
A scrivere è Giovanni Biondi, uno dei rampolli della famiglia più in vista di Maierà e studente in medicina. Il motivo per cui le ha scritte? Eccolo:
Sono le 7,30 del 23 settembre 1922 quando alle Pietre del Bianco, a un centinaio di metri dal Municipio di Maierà, stanno discorrendo di armi Ubaldo Biondi, fratello di Giovanni, Riccardo Benvenuto e Battista Forte. Biondi mostra agli altri due la sua rivoltella nuova di zecca. A loro si avvicina Battista Biancamano, uno dei capi della teppaglia, e Forte gli dice
- Sei venuto in tempo per lo sposalizio del tuo compare
- Sono stanco e non vi andrei neanche per mille lire! – gli risponde mentre, senza alcun motivo apparente, afferra Biondi per il bavero della giacca e comincia a tempestarlo di pugni, apostrofandolo “sbirro”. Benvenuto si mette in mezzo per dividerli ma il suo intervento fa si che Biondi perda l’equilibrio e cada a terra, consentendo così a Biancamano di saltargli addosso e colpirlo ancora. Benvenuto si mette in mezzo di nuovo e chiede aiuto a Forte che invece rimane indifferente
- Aiutami a dividerli, muoviti! – ma Forte non interviene e Benvenuto nota che se ne sta furtivo dietro Ubaldo Biondi. Quando finalmente riesce a dividere i due rissanti, Biondi si rialza e fa per mettere mano alla rivoltella che teneva nella fondina ma, con grande sorpresa, non c’è più. Temendo che l’abbia potuta prendere l’avversario, si avvia di corsa verso casa
- Va a prendere il fucile chè io ti aspetto! – lo provoca Biancamano
Ubaldo torna a casa e racconta tutto a suo fratello Giovanni. I due si armano, il primo di fucile ed il secondo di rivoltella, ed escono con l’intento, o forse con la scusa, di andare al fondo Giardino per verificare l’andamento dei lavori agricoli. Arrivati alle Pietre del Bianco incontrano Battista Forte al quale Giovanni chiede conto in modo molto risentito del suo comportamento durante la rissa. Forte forse teme che Giovanni voglia fargli del male e scappa. Proprio in questo momento va incontro ai fratelli Biondi il loro anziano zio Alfredo, il medico del paese. Dietro di lui, a una cinquantina di metri, proprio accanto al Municipio, c’è Battista Biancamano che impugna una pistola. Partono i primi colpi verso i Biondi che reagiscono rispondendo al fuoco. Biancamano si nasconde dietro il portone del Municipio e continua a sparare mentre i fratelli Biondi avanzano verso di lui. Biancamano allora entra nell’edificio, chiude dietro di sé il portone davanti al segretario comunale paralizzato dalla paura, si avvicina al balcone che guarda sulla strada sottostante, raccatta un lenzuolo steso e si cala nel vuoto sparendo tra i vicoli.
Zio e nipoti rientrano a casa per riordinare le idee, poi, dopo circa un’ora e mezza, i fratelli escono di nuovo con la scusa di andare al Giardino, pensando che Biancamano non oserà affrontarli di nuovo così presto perché sicuramente qualcuno avrà già informato i Carabinieri di Diamante i quali potrebbero arrivare da un momento all’altro, sorprenderlo e, finalmente, arrestarlo. Oltrepassato il Municipio, la voce di Tommaso De Marco li blocca
- Tornate a casa per l’amor di Dio! – urla con la voce rotta dai respiri affannati – tornate a casa perché Rosa Cirillo mi ha appena detto che quattro o cinque della teppa sono appostati lungo la strada… forse aspettano voi!
Ubaldo e Giovanni si guardano, guardano gli occhi di De Marco pieni di paura e capiscono che non è il caso di rischiare una revolverata, così decidono di tornare indietro, ma non fanno che qualche passo e le pallottole cominciano a fischiare dietro di loro. Giovanni è colpito alle spalle e si accascia. Ubaldo lo sorregge fino a dietro un albero dove trovano riparo. In lontananza rumore di gente che corre allontanandosi.
Giovanni è fortunato. La pallottola gli è entrata nella zona paravertebrale sinistra, ha sfiorato la pleura ed è uscita dal torace senza ledere organi vitali. Se la caverà.
I Carabinieri di Diamante si mettono sulle tracce di Battista Forte, del suo compare Battista Biancamano e del fratello di quest’ultimo, Oreste. Tutti e tre sono stati visti qualche minuto prima del tentato omicidio mentre confabulavano proprio nelle vicinanze del posto da dove sono stati esplosi i colpi di rivoltella, ma sembrano essere spariti nel nulla.
Poi, esattamente un mese dopo i fatti, una soffiata rivela che Oreste Biancamano sta dormendo tranquillamente a casa sua a Maierà. I Carabinieri lo sorprendono nel sonno e, ovviamente, si dichiara completamente estraneo ai fatti.
È il 29 dicembre pomeriggio quando Battista Forte bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Diamante per costituirsi
- Dopo una mezz’ora dalla rissa tra Ubaldo Biondi e Battista Biancamano, alla quale non partecipai, io ero in compagnia di Biagio Cetraro e incontrai i fratelli Biondi. Giovanni mi chiamò in disparte con l’intenzione di parlarmi ma poi, estratta una rivoltella ed il pugnale, m’impose di sedere sul muretto vicino. Alle mie proteste per tanta ingiustificata aggressione, si aggiunsero le esortazioni del fratello Ubaldo, il quale lo rassicurava che io nulla di male gli avevo fatto e fu così che Giovanni desistette da ogni ulteriore violenza verso di me, specie quando fu trattenuto da Biagio Cetraro. Io scappai verso casa per timore di inseguimento da parte dei Biondi e nei pressi del Cimitero, ch’è vicino alla mia abitazione, ebbi occasione di vedere Biancamano Battista col quale mi lamentai perché aveva dato causa a quel litigio. Poco discosto stava il fratello Oreste, che probabilmente non mi avrà né udito, né visto. Del ferimento di Giovanni Biondi io non so niente perché ero a casa e ho i testimoni…
Ma di Battista Biancamano continuano a non esserci tracce e qualcuno comincia a sussurrare che è riuscito a espatriare clandestinamente in Francia. Gli altri due imputati sono trasferiti nel carcere di Cosenza dove, il 30 dicembre, vengono sequestrate due fibbie, due biglietti, con un unico messaggio che Oreste Biancamano ha cercato di far recapitare a Battista Forte e potrebbero essere guai molto seri per loro
Caro cugino
Si nel caso che il giudici non tia chiamato quando ti chiama per conto mio gli dite che non mi avete visto la mattina e gli dite che io mi ritiravo da Grisolia che avevo andato a contare le pecore ai capito fatimi sapire voi qualche cosa del fatto se mi mandati qualche biglietto io mi trovo ansiemo con Ritondale e Bellusci et salutami caramente io ti saluto e fammi sapire qualche cosa e poi gli dite al giudice che io nella questione non ci stavo perche Batt no (poi incomprensibile)
Le indagini sono praticamente concluse ma prima di procedere con le richieste del Pubblico Ministero, si cerca di rintracciare e catturare Battista Biancamano che ora tutti ritengono nascondersi nelle grotte e negli anfratti di cui il territorio è costellato e che lui conosce a menadito. Intanto la situazione dell’ordine pubblico a Maierà è di nuovo molto critica: furti, minacce, estorsioni non si contano più ma nessuno denuncia per paura della vendetta di Biancamano e dei compari che lo aiutano e spalleggiano.
Il 15 marzo 1923 una pattuglia dei Carabinieri di Diamante composta dall’Appuntato Emilio Martino e dal Carabiniere Angelo Natoli è a Maierà per tentare la cattura del latitante, segnalato in paese. Racconta Martino: Dopo una giornata di inutile appiattamento fatto in un punto dello stesso abitato dove egli era solito passare, ci recammo in quella casa comunale ove verso le ore 15 si doveva unire in matrimonio una cugina del latitante ma questi, accortosi della nostra presenza, riuscì a fuggire.
Nel continuare le nostre ricerche e precisamente circa le ore 17 dello stesso giorno, notammo dall’alto il Biancamano che se ne stava seduto su un muricciolo di un parapetto attiguo all’abitato. Noi Appuntato Martino, visto l’impossibilità di poterlo circondare e data la scaltrezza del latitante, ritenemmo che il mezzo migliore per avvicinarci a lui era quello di spiccare un salto, come infatti fecimo, malgrado l’altezza di una diecina di metri. Il Biancamano, visto avanti la sua persona noi Appuntato Martino, si alzò e fatto qualche passo mentre noi stavamo per inseguirlo, estrasse una rivoltella sparando un colpo contro di noi stesso, senza però colpirci. Martino dopo la pazzia del salto che avrebbe potuto costargli la vita è ovviamente stordito e fatica a estrarre la sua rivoltella, restando in balìa del delinquente che sta per ammazzarlo. Ma dall’alto interviene il Carabiniere Natoli che spara contro Biancamano e questo fa si che l’uomo si dia alla fuga.
L’azione di Martino ha dell’incredibile e lascia stupefatto il Maresciallo Pedranghelu: notammo con grande meraviglia come avesse potuto fare un simile salto senza prodursi nessun male. È stato coraggio o incoscienza? Certamente tra Martino e Biancamano è nata una specie di sfida all’ultimo sangue. Scrive Pedranghelu: Il Biancamano vede nella persona del bravo Appuntato un nemico acerrimo perché questi, non badando a pericoli di sorta, si sacrifica continuamente per riuscire a catturarlo.
Il perdurare di questa drammatica situazione consente di accelerare l’istituzione della caserma dei Carabinieri, che resta sempre il movente del tentato omicidio di Giovanni Biondi.
È l’una di notte del 23 agosto 1923 quando i Carabinieri di Maierà stanno effettuando un servizio di perlustrazione nell’abitato perché una voce amica ha detto che Biancamano quella notte dovrebbe essere a casa sua. Non lo trovano ma trovano evidenti tracce che fino a qualche minuto prima era lì, così in seguito ad attive ed incessanti ricerche ed appiattamenti, transitando per la via manca, si accorgono che sopra ad una tettoia alta dal suolo circa otto metri, v’era un individuo appiattato.
Il Brigadiere Giuseppe Papa, comandante la stazione, prende l’iniziativa: noi predetti militari abbiamo con scaltrezza in men che non si dica, circoscritto il fabricato di diverse case meditando il modo come potere accedere sulla tettoia, mentre l’individuo a noi ancora ignoto spiava le nostre mosse spostandosi da un lato all’altro, cercando il modo di potersela svignare. Noi brigadiere Papa, organizzato il piano, stabilimmo rimanere da un lato del fabricato da dove si presumeva scappare l’ignoto il carabiniere Tabella e dall’altra sponda di esso fabricato noi Papa, pregato la famiglia Arcuioti Carmine, abbiamo acceduto nella casa di esso ed ivi da un balcone, scavalcati un muro alto due metri circa, con sottostante un cortiletto alto dal suolo circa 15 metri, con la pistola alla mano ci siamo portati sulla tettoia con agilità e ci slanciammo ad acciuffare lo sconosciuto il quale tentava darsela a gambe. Identificatolo era proprio il pericoloso latitante Biancamano Battista. Contemporaneamente accorso sulla tettoia anche il carabiniere Tabella, lo abbiamo assicurato coi ferri e tradotto nella nostra camera di sicurezza.
- Dove hai messo la pistola? – gli chiede Papa
- La mia vita prendetela, ma la pistola non posso indicarvi ove la tengo – risponde sprezzante
Adesso si può procedere e la Sezione d’Accusa rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza Battista Biancamano, suo fratello Oreste e Battista Forte con l’accusa di tentato omicidio. Ma rinvia a giudizio anche Ubaldo e Giovanni Biondi con l’accusa di minaccia con arma e sparo d’arma in rissa. È il 12 novembre 1923.
Cinque mesi dopo la Corte d’Assise di Cosenza condanna Battista Biancamano a 11 anni, 8 mesi e 15 giorni di reclusione; condanna anche Battista Forte a 2 anni e 6 mesi di reclusione e assolve Oreste Biancamano e i fratelli Biondi.
Ma non è finita. Processato anche per il mancato omicidio dell’Appuntato Martino, Biancamano si becca un altro anno di reclusione e viene recluso nel carcere mandamentale di Belvedere Marittimo, da dove riesce ad evadere il 12 maggio 1924, ricominciando a terrorizzare il territorio. Un paio di settimane dopo i Carabinieri sono sul punto di arrestarlo ma lui spara e riesce a scappare, ma ormai è braccato.
Il Brigadiere Papa e i suoi uomini il 10 luglio 1924 stanno rastrellando il Monte Carpino quando, verso le 4,00, notano che sotto un grosso macigno posto in un punto fuori mano ed inaccessibile, circondato da cespugli e frasche, vi erano segni evidenti di permanenza di persone: pedate, bucce di frutta, pezzi di carta, nonché un rudimentale giaciglio composto di foglie ed erba secca che fece a noi dubitare che, dato l’inaccessibilità di quel luogo, solamente colà poteva rifugiarsi il Biancamano. Quindi si appostano nelle vicinanze scrutando le accidentalità del terreno certi che prima o dopo il Biancamano o qualche favoreggiatore si sarebbe colà palesato, in vista anche della sopraggiungente abbondante pioggia e delle conseguenti scariche elettriche che si succedevano ininterrottamente. Papa ha visto bene. dopo un paio di ore di attesa sotto la pioggia incessante finalmente vedono avvicinarsi Battista Biancamano che, costeggiando le balze del monte si dirige verso il rifugio. Sembra tranquillo ma non è così. In mezzo a un cespuglio ha visto luccicare qualcosa illuminata da un lampo. Fa finta di niente e continua ad avvicinarsi ma col pollice arma il cane della rivoltella e, all’improvviso, si accoscia e comincia a sparare contro il cespuglio dove è appiattato il Brigadiere Papa, ma i colpi vanno a vuoto. Contemporaneamente tutti i Carabinieri rispondono al fuoco con i moschetti caricati a mitraglia e subito un lamento e un urlo:”Mi avete fatto!”, fa capire che il ricercato è stato colpito. Ma Biancamano non si arrende e cerca di guadagnare, sempre con la pistola in pugno, il fittissimo bosco circostante. I Carabinieri però lo inseguono e lo raggiungono facilmente dichiarandolo in arresto. C’è grande soddisfazione per il risultato ottenuto dopo tanti sacrifici.
La notizia si diffonde in un attimo e sul posto arriva anche Arturo Biancamano, fratello del ferito, che comincia a inveire contro i Carabinieri rischiando l’arresto. Il ferito viene trasportato in paese e il dottor Ugo Vaccaro che lo visita ritiene la ferita alla cresta iliaca molto grave e lo dichiara in pericolo di vita, consigliandone vivamente il trasferimento all’ospedale di Cosenza. il Brigadiere Papa ritiene che ciò sia opportuno, anzi urgente non tanto per la gravità della ferita, ma piuttosto per una questione di ordine pubblico essendo la parentela del Biancamano estesissima e composta anche da efferati violenti dilinquenti ed anche perché ci sono in paese numerose persone pregiudicate e malfattori che avrebbero prestato manforte a nostro danno, eccitati dalla presenza del ferito e da una sua eventuale morte, così lo scortano fino alla stazione ferroviaria dove lo caricano sul primo treno diretto a Sud, assistito anche da due suoi fratelli.
Ma Battista Biancamano all’ospedale di Cosenza non arriverà mai perché muore dopo pochi chilometri, all’altezza di Belvedere Marittimo, dove la salma viene scaricata.
C’è scappato il morto e la Giustizia deve fare il suo corso. La famiglia del bandito presenta querela contro i Carabinieri che hanno partecipato all’operazione:
- Quando potetti quel giorno avvicinare mio fratello, mi ebbi da lui questa precisa dichiarazione, dopo avergli domandato come mai non era riuscito a scappare: “Non ho visto nulla perché mi hanno sparato alle spalle ed io ho visto i Carabinieri quando mi son venuti a levare la pistola”. E poi il Carabiniere Pasquale Scarnato mi confidò che conflitto non c’era stato, ho i testimoni… e perché il Brigadiere, non appena potè mettere piede in caserma, non si mosse più dalla stessa, neanche quando lo mandò a chiamare il dottore Vaccaro per fargli presente la necessità di dover trasportare in un ospedale mio fratello per essere operato?
E tre testimoni li porta davvero: “Ma che conflitto! Non c’è stato alcun conflitto, è stato il brigadiere che l’ha sparato per paura di essere a sua volta sparato da tuo fratello”. Confermano. Così il Brigadiere Giuseppe Papa e i Carabinieri Giovanni Rosano, Pasquale Scarnato e Francesco Lento finiscono sotto inchiesta per omicidio aggravato.
- Perché avrei dovuto uccidere senza una causa giusta e proporzionata il Biancamano? E perché poi lo avrei sparato proprio per ucciderlo, anziché per difendermi o per indurlo ad arrendersi o per ferirlo semplicemente? Io ho creduto di compiere zelantemente il mio dovere, ma non è detto che per compiere il dovere dovevo farmi uccidere senza difesa. Non era la prima volta che il Biancamano sparava contro i Carabinieri. Altra volta ebbi ad arrestare il Biancamano e per quanto egli fosse pericoloso pure non feci uso delle armi, sebbene l’arresto fosse avvenuto sopra una tettoia alle ore una dopo mezzanotte, appunto perché il Biancamano stesso neanche fece uso di armi. Ricordo anche che in quell’occasione attirai su di me l’antipatia e il biasimo della cittadinanza di Maierà per avere trattato il Biancamano con gli stessi riguardi che sono di uso e di regolamento verso tutti gli arrestati. In Maierà, come già a conoscenza della Giustizia, esiste molta delinquenza associata e in ogni caso pervasa dal sentimento dell’omertà, onde vi è poco da prestar fede a chi sia venuto o venga a testimoniare contro di me relativamente a qualsiasi particolare del fatto, tanto più che il fatto stesso si verificò di mattino prestissimo durante un fortissimo temporale e perciò nessuno si potè trovare nelle vicinanze per affermare con sicura coscienza alcuna circostanza che valga a rivelare la responsabilità mia e dei Carabinieri. Ogni testimonianza contro di me è certamente voluta da Biancamano Arturo, fratello dell’ucciso e pericolosissimo delinquente anche lui, molto temuto e capace di vendette, anche capricciose – si difende il Brigadiere Papa
E in effetti la situazione di Maierà è davvero drammatica ma ci sono dei cittadini che la mattina del 10 luglio lavoravano in campagna a un centinaio di metri dal luogo del conflitto a fuoco e che non hanno paura delle eventuali ritorsioni della malavita. Le loro testimonianze smentiscono le accusa contro i Carabinieri, affermando di aver sentito prima un colpo e dopo qualche secondo, quasi contemporanee, altre due o tre detonazioni. Quindi il conflitto a fuoco c’è stato.
In attesa che l’istruttoria venga completata e per evitare vendette e ritorsioni, i quattro Carabinieri vengono trasferiti in altre sedi. Ci vorrà il 5 febbraio 1926 perché la Sezione d’Accusa dichiari il non luogo a procedere contro i quattro Carabinieri per avere agito in istato di legittima difesa.[1]
Intanto a Maierà la malavita oltrepassa ogni limite e i Carabinieri reagiscono energicamente. Ma questa è un’altra storia che potete leggere cliccando qui CONOSCETE LA FAMIGLIA MONTALBANO?



[1] ASCS, Processi Penali.

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